È il progetto della gigantesca rete da pesca The Ocean Cleanup ideato da uno studente olandese. Da dieci anni raccoglie e ricicla la plastica degli oceani
Un’isola di rifiuti grande tre volte la Francia. È la Great Pacific Garbage Patch, situata tra le Hawaii e la California in corrispondenza di una delle cinque spirali oceaniche della Terra, nella quale converge circa un terzo degli otto milioni di rifiuti plastici che ogni anno si riversano nelle acque oceaniche. Si tratta soprattutto di attrezzature per la pesca, sacchetti, bottiglie, giocattoli, ma anche migliaia di trilioni di micro-frammenti plastici degradati dalla luce del sole, con conseguenze devastanti per la biodiversità. Risulta quindi urgente prelevare la plastica accumulatasi negli ultimi sessanta anni, prima che si scomponga in pezzi sempre più piccoli, diventando più difficile da pulire e sempre più facile per gli animali marini da scambiare per cibo, comportando un enorme impatto sugli ecosistemi, sulla salute e sull'economia, per secoli.
Un sistema ingegnoso
Da qui prende le mosse l’idea del giovanissimo studente olandese Boyan Slat che, nel 2013, fonda l’associazione no-profit The Ocean Cleanup e che, da allora, è affiancato da un team di 120 professionisti tra ingegneri, ricercatori, scienziati, modellatori computazionali e figure di supporto che lavorano quotidianamente per liberare gli oceani del mondo dalla plastica. La Ong ha sviluppato un ingegnoso sistema di pulizia, che prende il nome di System 03 e consiste in una sorta di lunga barriera galleggiante a forma di U lunga circa 2,2km e trainata da due navi, che cattura i detriti di plastica.
Come spiega l’associazione, il funzionamento della rete da pesca è molto semplice: le correnti spostano i rifiuti creando punti caldi che, con l'aiuto di modelli computazionali, possono essere previsti per posizionare i sistemi di pulizia che catturano la plastica nella zona di ritenzione. Quando la rete è piena, la parte posteriore viene portata a bordo delle navi e svuotata per tornare subito all’azione in acqua. Una volta che i contenitori sono pieni di plastica, vengono riportati a terra per il riciclaggio e la realizzazione di prodotti durevoli e di valore.
La speciale rete è progettata non solo per i pezzi di plastica più grandi, ma è in grado di intrappolare anche i detriti più piccoli, di appena qualche millimetro. Inoltre, rispetto ai modelli precedenti, si distingue per l’attenzione nei confronti della fauna marina. Il sistema è già molto efficace, ma The Ocean Cleanup sta lavorando per renderlo ancora più sofisticato e preciso adottando telecamere subacquee, termocamere di bordo e droni per rilevare le tracce di calore dei mammiferi marini e ispezionare l’impianto in movimento per evitare che questi vengano catturati insieme ai detriti.
Di questo passo il sogno che il creatore aveva espresso rispetto all’eliminazione del 90% della plastica dagli oceani entro il 2040 non sembra tanto una lontana utopia quanto più un reale obiettivo perseguibile, grazie alla possibilità di replicare la tecnologia in tutte le chiazze oceaniche, sede di enormi accumuli di rifiuti.
Eliminare il problema …alla foce
Raccogliere la plastica dagli oceani non è però sufficiente: è necessario anche e soprattutto evitare che nuova plastica si riversi nelle acque. Solo l'1% dei fiumi del mondo è responsabile dell'80% della plastica che dalla terraferma finisce negli oceani.
Per ovviare a questo ulteriore problema, The Ocean Cleanup ha replicato la barriera galleggiante a forma di U, ancorandola alla foce di fiumi sparsi in tutto il mondo, per intercettare i rifiuti e tamponarli fino a quando non vengono rimossi dall'acqua. Attualmente questa tecnologia è attiva in sei località: Indonesia, Malesia, Repubblica Dominicana, Vietnam, Stati Uniti e Tailandia.
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Valeria Ferrari