Altri 3 mesi di detenzione per gli attivisti di Greenpeace fermati al largo della piattaforma petrolifera di Gazprom dalle forze militari russe a settembre. Tra loro anche il trentunenne italiano Cristian D’Alessandro
Anche Paul McCartney si è mobilitato per liberare gli Arctic 30. Il quotidiano inglese “Guardian” ha pubblicato una lettera indirizzata direttamente a Vladimir Putin chiedendo che i 28 attivisti di Greenpeace e i due giornalisti arrestati durante una protesta al largo della piattaforma petrolifera Prirazlomnaya, nell’Artico vengano rilasciati. Tra loro anche un italiano, il trentunenne napoletano Cristian D’Alessandro. Come riporta il magazine “Wired”, sono ormai 56 i giorni passati dal 18 settembre, quando i 30 attivisti a bordo dell’Arctic Sunrise sono stati circondati e abbordati dagli elicotteri delle forze militari russe. Gli attivisti stavano protestando contro le trivellazioni dell’azienda petrolifera Gazprom, per attirare l’attenzione sull’inesorabile distruzione dell’Artico. Twitter si è rivelato fondamentale per conoscere gli sviluppi della storia, dalle prime testimonianze sulla nave: «Siamo terrorizzati, c’è stato un rumore fortissimo, urla in russo. Il resto del gruppo è inginocchiato per terra con i fucili puntati», a quelle relative al periodo di detenzione a Murmansk: «Il momento più duro è stato il primo giorno in prigione, faceva freddo, nessuno sapeva che cosa ne sarebbe stato di noi ed è stato terribile dover dividere la cella con perfetti estranei».
Le ragioni della protesta sono chiare: bloccare i tentativi di trivellazione in questa zona dell’Artico, dove i ghiacci si stanno sciogliendo e i rischi ambientali derivati da un possibile incidente sono enormi. Gli attivisti si trovavano in acque internazionali quindi avevano il diritto di rimanere in quell’area. Come riporta il “Guardian”, il direttore esecutivo internazionale di Greenpeace ha affermato: «L’abbordaggio illegale di una nave di protesta pacifica evidenzia la misura in cui il governo russo vuole tenere lontano dal giudizio pubblico questa pericolosa operazione di trivellazione».
La posizione russa è ambigua, anche sul fronte delle accuse: in un primo momento si era parlato di pirateria, reato che sarebbe costato agli attivisti 15 anni di carcere, ma dopo l’intervento di Putin e ben quattro settimane di attesa nella prigione di Murmansk, l’accusa è stata revocata. Il governo ha optato per il reato di teppismo e minaccia nei confronti del personale presente sulla piattaforma petrolifera, nel qual caso la pena risulterebbe comunque in 7 anni di detenzione. Nel frattempo i messaggi, le lettere e i disegni degli attivisti descrivono le emozioni e le preoccupazioni in queste 8 settimane di buio che li separano da famiglia e amati: «I miei figli, di 7 e 9 anni, saranno adolescenti e la mia piccola avrà dimenticato chi sono se esco di qui tra 7 anni» scrive Philippe Ball, cameraman di Oxford e membro degli Arctic 30.
In tutto il mondo sono state numerosissime le richieste rivolte alle autorità russe per chiedere la liberazione degli attivisti (#freethearctic30): petizioni online, manifestazioni davanti alle ambasciate, eventi di sensibilizzazione ma anche l’appello di 11 premi Nobel e ovviamente dei familiari. Intanto a metà novembre gli attivisti sono stati trasferiti in treno da Murmansk a San Pietroburgo e le ultime notizie dell’agenzia AP segnalano che il periodo di detenzione sarà prolungato di 3 mesi, mentre il comitato investigativo russo continua con gli “accertamenti”. Il direttore esecutivo internazionale dell’organizzazione, Kumi Naidoo esprime il suo sconcerto: «Continueremo a porre resistenza a questa assurda detenzione prolungata. Questa è una farsa, un oltraggio che si fa beffe della giustizia. È tempo per gli Arctic 30 di tornare a casa». La speranza è che Vladimir Putin non resti insensibile a questa mobilitazione internazionale, se non per bontà di cuore, almeno per calmare le acque attorno all’esplosione del caso, che si è evidentemente ritorto contro gli stessi interessi di offuscamento degli affari interni a cui l’intero intervento militare russo puntava.
Mara D’Arcangelo