L’attrice e regista rivendica la libertà di non avere figli. E ne parla con ironia e consapevolezza, in un libro e in un film
«A mio marito Max e alla nostra minuscola, perfetta famiglia». In questa semplicissima dedica, posta all’inizio del suo libro, “Non me lo chiedete più” (Harper Collins Italia), sono racchiusi il pensiero e la vita di Michela Andreozzi. Perché quello che l’attrice, regista e conduttrice 49enne rivendica è la libertà di tornare a casa, sedersi sul divano, abbracciare il marito.
E, come ha rivelato in un'intervista, godersi «il silenzio, espressione di complicità estrema». Senza sentirsi in colpa perché sono “solo” loro due. E non ci sono passeggini o giocattoli sparsi in giro.
Difficile dire “io non ne voglio”
«Viviamo in un Paese in cui lavori solo se non hai figli, dove ti fanno firmare le dimissioni in bianco quanto ti assumono per evitare di pagare inavvertitamente la maternità - scrive -. Le madri che lavorano sono in assoluto la categoria meno tutelata, rispettata e considerata».
Eppure nonostante queste premesse, nonostante la percentuale di donne senza figli sia 1 su 5 e nonostante esempi celebri che vanno da Rita Levi Montalcini a Valeria Golino, ammettere di non volersi riprodurre è ancora un’impresa.
«La pressione sociale è un vero e proprio mobbing - si legge - fatto di giudizi, paragoni, allusioni, confronti e sfide. È possibile non avere figli, ma non ti è permesso rifiutare l’idea. Dire: “Io non ne voglio, grazie” è difficilissimo».
E anche le donne più toste temono il giudizio altrui, quello sguardo che fa sentire egoista, incompleta, anormale. Lei il coraggio di fare “coming out” e di realizzarsi comunque l’ha trovato. C’è voluto tempo, conoscenza di sé: «Per anni non ho capito se lo volevo io, questo figlio, perché lo volevo io o perché “tutte le femmine lo vogliono” o perché “a un certo punto lo vorrai” e perciò tanto conviene che ti avvantaggi e lo vuoi prima che sia troppo tardi.
Poi il frastuono è cessato fuori e dentro di me, e tutto si è fatto chiaro. Io, un figlio, non l’avevo mai desiderato». Dopo che il suo primo «matrimonio è naufragato», dal 2015 Michela Andreozzi è sposata con Massimiliano Vado, si dedica a se stessa, a lui, agli altri, al suo lavoro. Con ironia ricorda che si gode «i soldi spendibili anche in minchiate», la possibilità di dormire fino a tardi e di viaggiare, la libertà di indossare un tacco 12 anche in casa e quella di mangiare quello che le pare «senza educare nessuno al cibo sano».
Il diritto di essere childfree
Questo e molto altro racconta nel libro, 192 pagine in cui chiarisce le sue idee sulle childfree (donne senza figli per scelta), da distinguere dalle childless (donne prive di figli perché non sono riuscite ad averne).
Si dice convinta del fatto che i figli siano un’esperienza meravigliosa, ma lei preferisce fare la zia. «Ho ricevuto migliaia di messaggi di ringraziamento. Donne che mi hanno scritto “Grazie, ho regalato il tuo volume al mio compagno, a mia madre”, “Grazie, finalmente mi sento meno sola”», ha rivelato.
Lei dice di non aver «mai provato l’istinto materno», eppure in questo farsi “portabandiera” anche per altre, c’è un atteggiamento che è più di una semplice solidarietà. Sarà che, come diceva l’ostetrica nel film in cui è sia attrice che regista «Nove lune e mezza» (dedicato a due sorelle alle prese con la maternità), «non è che una donna è brava se fa un figlio e se invece non lo fa è una mezza tacca. Una mamma è mamma se mette al mondo un figlio, una canzone, una torta».
Michela Offredi