Un paese ricco di contraddizioni, dove imparare a essere turisti attenti
La Thailandia è un posto meraviglioso, la Lonely Planet lo definisce il Paese del sorriso e vi garantisco che è così: la gente è amichevole e disponibile, non vedrete mai nessuno sbraitare per strada o insultarsi dal finestrino della macchina.
Lo so, ve la immaginate verde e incontaminata, e in parte lo è, ma come ogni angolo di mondo ha le proprie contraddizioni interne. Le città sono inquinate, molto più che le nostre, i palazzi alti e grigi sono circondati da matasse di fili elettrici scoperti e dall’alto della Golden Montain di Bangkok non si riesce a distinguere l’orizzonte.
L’aria è pesante, quasi irrespirabile, talmente solida che al tramonto il cielo non si tinge di sfumature diverse, ma di un unico rosa brillante che colora tutto in modo uniforme. Una città, però, nel Nord della Thailandia, pur essendo anch’essa trafficata e sporca, si distingue dagli altri centri urbani del sud-est asiatico per la sua vocazione ecosostenibile: si tratta di Chiang Mai, la più grande dopo la capitale, meta d’obbligo per tutti i backpackers in tour per il Paese.
Molto meno congestionata di Bangkok e con un clima più temperato, qui la concentrazione di occidentali è più alta che altrove; molti si sono trasferiti qui per lavorare, studiare o vivere di rendita, visto l’irrisorio costo della vita. Eppure a Chiang Mai si respira ancora l’essenza della tradizione asiatica: mercati di ogni tipo, centinaia di templi, spettacoli di danza e thai box lungo le strade, massaggiatori a ogni angolo.
Tutt’attorno alla città solo giungla e montagne; sono qui alcuni dei parchi nazionali più suggestivi della Thailandia, tra cui il più famoso Doi Pui Suthep. Il centro storico di Chiang Mai è chiuso all’interno di una cinta muraria che permette di limitare ulteriormente il traffico; io mi spostavo in bicicletta e, considerando il fatto che la città si sviluppa tutta in pianura, pedalare si è rilevata una scelta azzeccata e piacevole.
Tra un tempio e l’altro spuntano numerosissimi locali biologici, non solo bar e caffetterie, ma anche ristoranti, negozi di cosmesi e abbigliamento; per chi sostiene il commercio solidale, Chiang Mai è davvero una tappa a cui non si può rinunciare. L’olio di cocco è uno dei prodotti che va per la maggiore, oltre ad essere un must-have da riportare in patria, vista la convenienza disarmante del rapporto qualità-prezzo; capirete che è puro quando scesi dall’aereo di ritorno, aprirete la boccetta e si sarà solidificato.
Immancabile anche una scorpacciata di frullati di frutta, perché a Chiang Mai la materia prima utilizzata per prepararli è biologica e di prima scelta. Parte importante dell’offerta commerciale solidale è costituita dal settore dell’abbigliamento: se a Bangkok trovare tessuti non sintetici sembra un’impresa impossibile, nei mercati di Chiang Mai l’utilizzo del cotone è ampiamente diffuso.
La città è sede anche di moltissime associazioni ambientaliste con cui è possibile stringere collaborazioni, grazie al sostegno dei giovani studenti che si trovano lì in uno dei maggiori poli universitari della nazione; sono loro, di fatto, che rendono la città moderna e creativa. Non solo associazioni ambientaliste, ma anche di natura politico-sociale: a Chiang Mai, infatti, si trovano la maggior parte delle ONG che lavorano con i rifugiati birmani.
Pai
Pai, una cittadina fresca e verde poco distante da Chiang Mai, nonostante la popolarità da cui è stata investita negli ultimi anni, rimane un esempio assai positivo dello sviluppo turistico thailandese. I suoi abitanti continuano a svolgere un ruolo fondamentale nell’economia cittadina e anzi, è stata proprio la comunità locale, in origine una semplice e isolata comunità di contadini, a giovare del benessere economico portato dai viaggiatori in visita.
La tutela della natura e la conservazione del patrimonio culturale sono due prerogative a cui Pai non intende rinunciare; e non possiamo che gioirne, viste le meraviglie che ha da offrire, tra cascate, sorgenti termali e templi unici.
Laura Spataro
Il maltrattamento di animali
La piaga maggiore del turismo thailandese è il maltrattamento degli elefanti; moltissime delle associazioni di Chiang Mai, infatti, si battono proprio in favore dei diritti dei pachidermi. Ai turisti vengono offerti di continuo tour in groppa agli elefanti, povere bestie che vivono incatenate in condizioni igieniche di degrado totale, bacchettate dagli allevatori in caso di disubbidienza; spesso vengono addestrati come animali da circo per eseguire piccoli show che divertano il pubblico pagante.
Come se non bastasse, quella dell’elefante asiatico è una specie in via d’estinzione. Come per la prostituzione, altra piaga della Thailandia, la povertà della popolazione locale in parte giustifica il tentativo di guadagnare in ogni modo possibile, tuttavia, ciò che è davvero condannabile è il fatto che da parte dei vacanzieri senza-occhi-a-mandorla continui a esserci domanda di un simile intrattenimento.
Se proprio si vuole entrare in contatto con gli elefanti, i modi sono altri: moltissime le occasioni di trascorrere qualche giorno in loro compagnia in allevamenti in cui la mission è quella di preservare la specie, aiutando i volontari a lavarli e nutrirli.
Meno conosciuta, ma altrettanto allarmante, la questione del Tiger Temple, nella regione Kanchanaburi, dove alcuni felini sono stati adottati dai monaci buddhisti. Ogni giorno vi si recano circa 800 turisti paganti, senza sapere magari che il centro è stato denunciato per sfruttamento della fauna selvatica.
Ai visitatori viene data la possibilità di interagire con gli animali, scattando fotografie insieme. Considerata la loro natura sono, però, sin troppo disciplinati: pare infatti che per renderli così docili vengano drogati.