Vivere online costa (molto) anche per l'ambiente. Ma si può diventare fruitori digitali consapevoli ed ecologici
Anche Internet inquina. E si tratta di una consapevolezza che manca alla maggior parte dei cittadini, soprattutto in un periodo storico come quello attuale che – complici pandemia, smart working e lockdown – ha aumentato esponenzialmente l'utilizzo della rete. Ma perché e come inquina? Ed è possibile ridurre l'impatto della propria presenza online?
Tecnologia impattante
Tutte le informazioni e i dati scambiati online sono contenuti in data center che richiedono un grande dispendio di energia per essere raffreddati: questa è una delle prime cause di impatto ambientale.
Per produrre uno smartphone di 200 g si producono 86 kg di CO2, una e-mail da 1 megabyte ne emette circa 19 grammi (l’invio di un messaggio tramite WhatsApp o Facebook ne emette giusto pochi grammi in meno) e ogni giorno vengono effettuate circa 3,5 miliardi di ricerche su Google, che contribuisce al 40% della produzione di carbonio da Internet. Secondo il più utilizzato motore di ricerca, infatti, un fruitore digitale medio produce 8 g di CO2 ogni giorno.
Google e Microsoft, a emissione di carbonio negativa entro il 2030, sfruttano energie rinnovabili e investono per compensare le emissioni dei gas serra, politica virtuosa intrapresa anche da Netflix, che ha dichiarato un consumo di 450 mila megawatt orari nello scorso anno e che insieme agli account di Amazon Video contribuisce a un terzo delle emissioni prodotto dallo streaming online. Un altro terzo deriva dalla pornografia e l’ultima grossa fetta di torta è delle visualizzazioni su YouTube. Solo il videoclip della hit “Despacito” - attualmente con 7 miliardi di visualizzazioni - ha prodotto oltre 250 mila tonnellate di CO2. Secondo uno studio dell’Università di Edimburgo, se la vita di un singolo computer fosse allungata di due anni si potrebbe evitare l’emissione di 190 kg di gas serra.
Primo passo: ridurre i consumi
Che fare dunque? Se rinunciare alla tecnologia è ormai impossibile, si può certamente iniziare da consumi più accorti.
Vedere la TV piuttosto che i relativi streaming online, annullare aggiornamenti automatici indesiderati e deselezionare notifiche non necessarie sono tutte scelte di consumo che diminuirebbero il peso dell’impatto ambientale. Inviare sms e non messaggi online è un gesto ormai desueto, ma molto ecologico, così come interrompere video avviati in automatico o inintenzionalmente. È anche possibile migliorare lo scambio di mail: diminuirne il numero, renderle leggere tramite link diretti a documenti al posto di pesanti allegati e preferire la compressione dei file da inviare.
Basti pensare che, se ogni inglese inviasse una mail di ringraziamento in meno, si risparmierebbe l’emissione di 16.433 tonnellate di CO2 ogni anno. Fondamentale è poi il digital clean up, ovvero una pulizia dei file digitali non più in uso, possibile tramite la disiscrizione da mailing list inutili e l’eliminazione delle mail vecchie. Per sensibilizzare a riguardo, esiste anche il World clean up day, quest’anno tenuto il 19 settembre.
Ci sono però anche buone notizie e buone prassi da prendere come esempio. Secondo l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni, infatti, l’impiego di energia per i data center non è aumentata col crescere del traffico online negli ultimi anni grazie alla centralizzazione dei server e ai progressi nell’efficienza energetica.
Degno di nota è anche il progetto ReUseHeat, iniziativa finanziata da fondi europei il cui scopo consiste nell’ideare, dimostrare e rendere replicabili sistemi completi e qualificati di riutilizzo di sprechi di calore a livello urbano. Esistono già esempi di riutilizzo: a Parigi la piscina del quartiere Butte-aux-Cailles è riscaldata sfruttando il calore dei server informatici e lo stesso avviene in Svezia, dove da tempo l’ingegneria ha sviluppato impianti tali da facilitare lo sfruttamento del calore per il riscaldamento domestico evitando sprechi energetici.
Lorenzo Torcello