Nel mese in cui si inaugura l’Esposizione Universale a Milano, di cui ormai sappiamo che si può dire tutto il bene e tutto il male possibile, proviamo ad andare oltre, evitando le solite inutili denunce verso le multinazionali, ma anche superando i soliti buoni propositi di cambiamento che dovrebbe sopraggiungere dalla semplice citazione dei temi di Expo.
Nel concreto: il cambiamento non si genera dagli slogan né cade dal cielo, tutt’al più può venire dalla terra. O meglio ancora, dai territori. In un’epoca di imperante globalizzazione e di meravigliata ammirazione per i padiglioni internazionali, la vera chiave per una nuova crescita, economica e sociale, è invece legata al valore che riusciremo ad attribuire ai nostri piccoli territori, intesi nell’accezione di comunità di persone e di relazioni, di attività economiche, di risorse naturali; territori intesi come luoghi di ricchezza immateriale, costituita da tradizioni e saperi che si sono plasmati in anni di storia e di sviluppo.
Se c’è una cosa che l’Expo insegna, è che di fronte a una grande opportunità, chi ha la forza di coglierla e di posizionarsi meglio trae veri benefici, chi non è sufficientemente organizzato o attrezzato non raccoglie che briciole. Lo schema si ripete identico ai livelli inferiori: il piccolo produttore, il piccolo negozio, la piccola e media impresa, il singolo professionista, l’artigiano o l’azienda di medie dimensioni, la sala cinematografica di periferia o la società sportiva locale saranno sempre soccombenti rispetto a una stessa realtà di dimensioni maggiori. A meno che -e qui sta il punto- queste piccole realtà non vivano in un tessuto sociale che ne sappia cogliere il valore e che crei occasioni di vicendevole crescita, scambio e arricchimento economico e relazionale.
Restituire il giusto valore al concetto cruciale di “territorio” è però un preciso compito (e responsabilità) degli amministratori locali, ciascuno al proprio livello: comuni, province, regioni. L’obiettivo di perseguire una crescita diffusa e uno sviluppo equilibrato e sostenibile nel lungo periodo comporta però che tutti i territori e tutte le comunità crescano in modo omogeneo e solidale, o almeno in modo non troppo difforme, pena una crescita squilibrata che per definizione non sarebbe più sostenibile.
Il ruolo degli amministratori locali e degli enti pubblici deve essere questo: creare le condizioni perché l’economia e il lavoro del proprio territorio possano crescere e prosperare, favorendo al massimo le piccole attività, tradizionali o innovative, i negozi di vicinato, i produttori locali e i prodotti tipici, gli artigiani e le aziende che portano occupazione e lavoro diretto o indotto, le associazioni che rendono vivo e vivibile un quartiere. Il che non significa chiudere le porte alle grandi attività, ai centri commerciali, alle aziende di grandi dimensioni o all’organizzazione di grandi eventi, ma consentire alle piccole attività esistenti e alle famiglie che vi lavorano di sopravvivere e di competere, portando il sistema a uno sviluppo equilibrato delle sue parti.
È inutile adoperarsi per creare grandi centri commerciali, con strade e infrastrutture, e lasciare morire i centri abitati che, senza l’effetto diretto e indiretto delle piccole attività commerciali, tendono a spopolarsi e degradarsi. I negozianti non chiameranno più gli imbianchini e gli artigiani, i quali avendo meno lavoro andranno meno al ristorante o faranno meno spesa per sé e per i figli. Le famiglie compreranno così meno auto, computer o cellulari, riversando gli effetti di una economia squilibrata anche sugli stessi grandi attori economici internazionali. Un circolo vizioso che ha come risultato finale la chiusura delle attività tradizionali e l’impoverimento di un’intera area, anche dal punto di vista del mantenimento del saper fare di un territorio e della sua tradizione lavorativa.
Impoverimento che necessita per di più di maggiori servizi sociali e di sicurezza, aggravando ulteriormente i costi per gli enti locali stessi. Mercati di prodotti tipici, organizzazione di manifestazioni e fiere cittadine o di paese, promozione continuativa e innovativa delle attività artigianali, commerciali, imprenditoriali, educative e sportive non devono rappresentare solo momenti folcloristici o d’intrattenimento. L’organizzazione di dibattiti tra i cittadini, di incontri culturali, di approfondimenti per una maggiore conoscenza dei problemi legati all’economia del territorio, persino le gite a Expo Milano, devono rientrare in una strategia convinta e consapevole, volta a favorire in ogni modo l’economia locale e le occasioni di conoscenza e di scambio tra gli attori, le associazioni e le famiglie del territorio.
Da troppo tempo gli enti locali sono invece vittime di incombenze burocratiche e della costante necessità di auto finanziamento, compiti che distolgono gli amministratori dal ruolo cruciale di essere i veri promotori dello sviluppo di un tessuto sociale ed economico all’interno del proprio territorio; un ruolo che deve essere più imprenditoriale che notarile, più di stimolo che di sistematico controllo delle attività economiche, associative o educative.
Se vogliamo che la crescita globale rappresenti un’occasione di sviluppo equilibrato e sostenibile, occorre fare scelte energiche e coraggiose e lavorare affinché il valore dei territori non sia quello delle statistiche sulle produzioni, ma quello qualitativo di una comunità di persone vivace, coesa, solidale e in definitiva consapevole di costituire un'unica realtà.
Diego Moratti