Entro il 2050, il 68% della popolazione mondiale vivrà in un grande centro urbano, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Quali prospettive per le città di domani?
Ci aspetta un mondo di città. Anzi, di megalopoli: secondo il “World Urbanization Prospect 2018”, pubblicato lo scorso anno dal Dipartimenti Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite, entro il 2050 il 68% della popolazione mondiale vivrà in una città - oggi è il 55% - con una graduale e inesorabile migrazione degli abitanti dalle aree rurali a quelle urbane.
Un fenomeno che, abbinato all'esponenziale crescita demografica, rischierà di mandare al collasso i principali certi urbanizzati del pianeta, soprattutto in Africa e Asia (dove si concentrerà il 90% di questo aumento) e ridisegnerà il ruolo delle megalopoli non solo rispetto alle problematiche antropiche connesse ma anche, soprattutto, rispetto alle sfide ambientali da qui in avanti.
Crescita demografica e megalopoli. India e Cina in testa
Il rapporto delle Nazioni Unite evidenzia come già oggi le grandi città di paesi quali Cina, Brasile e India siano a rischio tracollo a causa del continuo aumento della popolazione e dei progressivi spostamenti dalle aree rurali a quelle urbanizzate.
Attualmente è Tokyo la città più grande del mondo (con 37 milioni di abitanti), seguita da Delhi (29 milioni), Shangai (26 milioni), Città del Messico e San Paolo (entrambe 22 milioni). Seguono poi il Cairo, Mumbai, Pechino e Dacca, tutte con circa 20 milioni di abitanti.
Secondo le proiezioni, però, sarà l'indiana Delhi la città destinata a diventare nei prossimi anni una vera e propria megalopoli sconfinata: nel 2028 potrebbe avere già superato Tokyo ed essersi lasciata alle spalle anche le grandi città cinesi, con tutti i problemi di ordine pubblico e di igiene che deriveranno da questa crescita spropositata. Nello stesso periodo, l'India avrà probabilmente superato la Cina come paese più popoloso del mondo.
Il trend di urbanizzazione ha iniziato a crescere già nei decenni scorsi. Dai 751 milioni di residenti urbani complessivi del 1950, si è passati ai 4,2 miliari del 2018: il 54% delle aree urbanizzate mondiali sono concentrate in Asia, seguita da Europa e Africa (13% ciascuna). Se si guarda però alle singole regioni, quelle più urbanizzate del pianeta sono l'America del Nord (nel 2018, l'82% della sua popolazione viveva in aree urbane), l'America Latina (81%) e l'Europa (74%).
L'Asia sta recuperando soltanto negli ultimi anni, soprattutto a causa dell'aumento della popolazione nei suoi due stati più significativi, India e Cina, che si giocheranno la sfida tra città e campagne nei prossimi decenni.
Al giorno d'oggi l'India detiene il maggior numero di residenti rurali in assoluto (893 milioni di persone), mentre la Cina è al secondo posto con 578 milioni: nel mondo sono 3,4 miliardi le persone che vivono al di fuori degli agglomerati urbani - il 90% delle quali in Asia e Africa – ma il numero è destinato a calare a favore delle città. Già oggi, circa la metà degli abitanti del mondo risiede in insediamenti con meno di 500 mila abitanti, mentre una persona su otto vive in una delle 33 megalopoli del mondo (con “megalopoli” si intendono città con oltre 10 milioni di abitanti).
Entro il 2030, le megalopoli del mondo saranno 43, concentrate soprattutto nelle regioni in via di sviluppo, cioè quelle aree in cui anche la crescita demografica ha un ritmo più elevato. L'aumento della popolazione mondiale nei prossimi anni non sarà quindi uniforme, così come non lo sarà lo sviluppo degli agglomerati urbani.
Il 35% dell'aumento di popolazione delle aree urbane del mondo da qui al 2050 è previsto soprattutto in India, Cina e Nigeria: tutti paesi in cui, attualmente, una parte consistente della popolazione vive ancora in aree rurali e che invece entro tre decenni avranno rispettivamente 416 milioni di abitanti urbani (India), 255 milioni (Cina) e 189 milioni (Nigeria). Di contro, nei paesi asiatici ed europeo a basso tasso di fertilità la tendenza è inversa: crisi demografica, stagnazione economica, emigrazione e catastrofi naturali hanno contribuito in alcune aree del mondo a un declino della popolazione dei centri urbani.
È il caso di alcune città in Giappone e in Corea, ma anche di città europee in Stati quali la Federazione Russa, Ucraina, Polonia e Romania. Si tratta comunque di un trend minoritario.
Urbanizzazione: quali conseguenze?
Tra le conseguenze dell'urbanizzazione selvaggia, le più gravi sono quelle ambientali e sociali: secondo le Nazioni Unite, infatti, le città occupano oggi il 3% della superficie terrestre, ma consumano tra il 60 e l'80% dell'energia prodotta su tutto il pianeta e causano il 75% delle emissioni di carbonio.
Una crescita spropositata delle città andrebbe a depauperare le risorse idriche e alimentari della terra, soffocherebbe gli ecosistemi naturali e graverebbe sulla salute pubblica, sia a causa dell'alta presenza di baraccopoli (con tutte le conseguenze igieniche e di ordine pubblico che ne derivano) sia a causa del peggioramento della condizioni climatiche e atmosferiche: lo scorso anno, il 90% degli abitanti urbani ha respirato aria non sicura, sono stati stimati 4,2 milioni di decessi a causa dell'inquinamento ambientale e più della metà della popolazione urbana mondiale è stata esposta a livelli di inquinamento atmosferico come minimo 2,5 volte più alti del normale livello di guardia.
Non solo: le grandi città rischiano di essere oggi le più vulnerabili al cambiamento climatico e ai disastri naturali.
Città sostenibili. La sfida del futuro
Non è un caso, quindi, che proprio le città siano considerate tra gli attori principali per il raggiungimento dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals) previsti dalle Nazioni Unite nella cosiddetta Agenda 2030.
Enormi collettori umani, aggregatori economici (il 60% del prodotto interno lordo mondiale è generato negli agglomerati urbani) e elementi di forte impatto, le città possono - e devono? - configurarsi come veri e propri spazi di cambiamento in ottica sociale, economica e ambientale: l'11esimo obiettivo di Agenda 2030 ha proprio come cuore lo sviluppo di città e comunità inclusive, sicure, resilienti e sostenibili. In che modo?
Combattendo le diseguaglianze, potenziando i trasporti pubblici urbani e rendendoli fruibili a un numero crescente di cittadini, rafforzando e implementando i sistemi di gestione dei cicli di rifiuti. Ma anche tutelando il patrimonio culturale e artistico, incoraggiando la partecipazione diretta dei cittadini alla gestione della città, valorizzando le economie di rete all'interno dello spazio urbano e prediligendo la rigenerazione urbana alla speculazione edilizia. Insomma rendendo le città e le megalopoli sempre più smart e green: un processo di conversione ambizioso ma necessario, verso cui sempre più aree urbane stanno tendendo.
Un esempio concreto arriva dalle statistiche del Global Green Economy Index, redatto annualmente dalla società di consulenza specializzata in temi ambientali Dual Citizen Llc, che ha stilato una lista delle dieci città più “green” del mondo sulla base di tutta una serie di parametri che vanno dall'attenzione per il cambiamento climatico all'efficienza industriale, dall'educazione ambientale alle politiche urbane di sensibilizzazione e coinvolgimento dei cittadini. Secondo l'indice, in testa alla classifica si posiziona la capitale danese, Copenaghen, considerata un modello indiscusso di green economy. Al secondo e terzo posto ci sono Stoccolma e Vancouver, seguite da Oslo, Singapore (in virtù dei suoi quartieri popolari sviluppati in bioedilizia) e New York.
Completano poi la classifica Berlino, Helsinki, Parigi e Tokyo.
Erica Balduzzi
1 Copenaghen
2 Stoccolma
3 Vancouver
4 Oslo
5 Singapore
6 New York
7 Berlino
8 Helsinki
9 Parigi
10 Tokyo