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Gli indigeni dell’Amazzonia rischiano il genocidio

Gli indigeni dell’Amazzonia rischiano il genocidio

Brasile: gli occhi di tutto il mondo sono puntati sul futuro del polmone del Pianeta e dei suoi abitanti

Il 1° gennaio si è insediato in Brasile il Presidente Jair Bolsonaro, capo della coalizione nazionalista e conservatrice. Soprannominato “Trump dei Tropici” per le sue posizioni su ambiente e diritti civili, l’ex ufficiale aveva già espresso in campagna elettorale l’intenzione di smantellare la Fondazione nazionale dell’indio (Funai) e di accorpare i ministeri di Ambiente e Agricoltura, con l’obiettivo di aprire allo sfruttamento della Foresta Amazzonica anche le terre abitate dai nativi, considerati “un ostacolo per l’agrobusiness”. E non ha perso tempo.

Gli indigeni del Brasile

Con oltre 900 mila individui divisi in quasi 300 tribù, i nativi indigeni rappresentano lo 0,4% della popolazione brasiliana, a cui il governo ha riconosciuto finora 690 territori, il 14% del Paese, quasi tutti in Amazzonia.

Una quantità eccessiva, secondo Bolsonaro, perché «dove c’è terra indigena, c’è sempre ricchezza». Gli indios non sono comunque proprietari delle terre ma usufruttuari a vita e sono gli unici abilitati a sfruttare le risorse del suolo (ma non del sottosuolo, che appartiene invece allo Stato). I grandi latifondisti, invece, pur rappresentando solo l’1% della popolazione brasiliana detengono il 60% delle terre del Paese e ambiscono ai territori indigeni al pari di aziende, bracconieri, taglialegna e minatori illegali.

Integrazione forzata, smantellamento della Funai, guerra alle Ong

Appena terminato il giuramento, Bolsonaro ha firmato un ordine esecutivo immediatamente operativo che sottrae alla Funai la competenza sul processo di restituzione delle terre ai nativi e la attribuisce al ministero dell’Agricoltura guidato da Tereza Cristina, leader del gruppo parlamentare che rappresenta i proprietari agricoli, a cui è affidata anche la concessione delle licenze ambientali nelle aree protette.

La competenza sulla Funai è poi passata dal ministero della Giustizia a quello per Pari opportunità, Famiglia e diritti umani e la neo-ministra evangelica Damare Alves ha già annunciato l’intenzione di cambiare la politica verso le tribù incontattate. Su Twitter Bolsonaro ha scritto: «Meno di un milione di persone abitano nelle regioni isolate del Brasile e sono sfruttati e manipolati dalle Ong». Queste ultime sono quindi state poste sotto lo “stretto monitoraggio” della Segreteria di Governo, guidata da un altro ex generale dell’esercito. La strategia dell’integrazione non è una novità: il termine richiama la strategia adottata sotto la dittatura, che si è tradotta nel crollo della popolazione indigena ai minimi storici.

Una lotta per tutto il Pianeta

«Se il 14% del territorio agli Indigeni è tanto, che dire del 60% in mano a pochi latifondisti che rappresentano meno dell’1%? Siamo già stati integrati e decimati. Non accetteremo più di essere dimezzati per mezzo di azioni governative. Le nostre popolazioni sono fondamentali per il mantenimento dell’equilibrio della foresta Amazzonica e di conseguenza per la sopravvivenza del Brasile e del mondo intero. Siamo pronti al dialogo. Ma siamo anche pronti a difendere i nostri diritti e le nostre terre».

Queste le parole dei leader delle comunità Aruak Baniwa e Apuriña in una lettera aperta al Presidente. Anche Davi Kopenawa, leader degli Yanomami, la tribù più popolosa del Sud America, ha espresso il desiderio di parlare a quattr’occhi con il Presidente, rivendicando i loro diritti di esseri umani e di brasiliani. Ma Bolsonaro, che ha vinto le elezioni grazie a una campagna elettorale basata sul tema della sicurezza in quella che è una delle regioni più violente al mondo, non pare riconoscere il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza anche ai popoli indigeni: per questo motivo da oltre un mese si susseguono - in Brasile ma anche in altre città del mondo - proteste e manifestazioni, guidate dall'Associazione dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB) nell'ambito della campagna "Sangue indigeno, non una goccia in più", anche nota come "Gennaio Rosso".

Arianna Corti

Febbraio 2019

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