Legambiente presenta il consueto bilancio annuale relativo all’ingente giro d’affari del crimine ambientale organizzato
Il termine “ecomafia” è stato coniato da Legambiente per battezzare i misfatti ecologici riconducibili alla criminalità organizzata.
Il fenomeno viene affrontato in modo sistematico dall’annuale “Rapporto Ecomafia”, un resoconto coordinato dall’Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente in collaborazione con tutte le forze dell’ordine (Arma dei Carabinieri, Corpo Forestale dello Stato, Capitanerie di porto, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Direzione investigativa antimafia), l’istituto di ricerche Cresme (per quanto riguarda il capitolo relativo all’abusivismo edilizio), magistrati impegnati nella lotta alla criminalità ambientale e avvocati dei Centri di azione.
Proprio l’ultimo Rapporto in ordine di tempo, presentato a Roma lo scorso 30 giugno, ha evidenziato il persistere di uno scenario a tinte fosche con l’apporto di numeri vertiginosi e inquietanti.
Quasi 30 mila reati per 22 miliardi di euro
I reati accertati ammontano a 29.293, corrispondenti a un giro d’affari pari a 22 miliardi di euro (7 in più rispetto al 2013): basterebbero queste due cifre a indicarci le drammatiche proporzioni di una piaga che affligge senza sosta il nostro territorio.
Nel dettaglio è possibile ravvisare come l’aumento delle infrazioni colpisca ogni settore analizzato dal Rapporto, dal ciclo dei rifiuti (+26%), a quello del cemento (+4,3%, con un abuso edilizio che inciderebbe sul 16% del nuovo fabbricato).
Il “fiore all’occhiello” dello sconfortante bilancio risulta però essere il comparto agroalimentare, attraverso il quale l’attività criminosa fatturerebbe 4,3 miliardi di euro a fronte di 7.985 contravvenzioni.
Passando al racket degli animali le forze dell’ordine hanno verbalizzato ben 7.846 reati tra bracconaggio, commercio illegale di specie protette, abigeato (la sottrazione di bestiame), allevamenti illegali, macellazioni in nero, pesca di frodo, combattimenti clandestini e maltrattamenti, con la denuncia di 7.201 persone, l’arresto di 11 e il sequestro di 2.479 animali.
Pur calando il numero degli incendi aumenta paradossalmente la superficie boschiva finita in fumo, che dai 4,7 mila ettari del 2013 arriva ai 22,4 dello scorso anno, quasi cinque volte tanto.
Non mancano le vessazioni ai danni delle aree archeologiche tutelate da vincoli paesaggistici, musei, biblioteche, archivi, mercati, fiere e altri luoghi a rischio. 852 i furti di opere d’arte accertati, spoliazione che ha condotto alla denuncia di 1.558 persone e all’arresto di 15.
Spostando la lente sui luoghi si constata una crescita esponenziale dell’incidenza criminale nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Puglia, Sicilia, Campania e Calabria), dove viene registrata più della metà delle infrazioni complessive. E se il Lazio si conferma prima regione del centro Italia per cattiva condotta, la Liguria conquista la triste medaglia d’oro al Nord, area in cui è però la Lombardia a vantare il record di indagini in corso per corruzione.
Una novità assoluta all’interno del quadro è rappresentata dalla presenza di veri e propri professionisti connessi all’operato ecomafioso, come lo sviluppatore, esperto di green economy e conoscitore dei meccanismi di sviluppo delle rinnovabili, o il trafugatore di reperti archeologici provetto storico dell’arte.
Una legge sugli Ecoreati
In un panorama così negativo emergono comunque delle note liete, determinate in gran parte dalla recente introduzione di una fin troppo attesa legge ad hoc sugli ecoreati.
A tal proposito si è espressa Rossella Muroni, direttrice nazionale di Legambiente: “Quella del 2015 è una data straordinaria, l’anno della legge che introduce finalmente nel codice penale uno specifico Titolo dedicato ai delitti contro l’ambiente, che punisce chi vuole fare profitti a danno della salute collettiva e degli ecosistemi.
Uno strumento fondamentale per combattere la corruzione che è diventata il principale nemico dell’ambiente a causa delle troppe amministrazioni colluse, degli appalti pilotati, degli amministratori disonesti e della gestione delle emergenze che consentono di aggirare regole e appalti trasparenti.
C’è bisogno allora dell’applicazione della legge ma anche di un complessivo cambio di passo, verso un paradigma economico più giusto e in grado di sollecitare nuova fiducia, partecipazione e trasparenza, perché non ci si rassegni a pensare al malaffare come a un male senza rimedi”.
Davide Albanese