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L’informazione è il linguaggio della realtà

Per evitare lo scollamento dalla dimensione reale è necessario ridurre la velocità delle reazioni e promuovere esperienze dirette e metodo scientifico

È stato detto chiaramente da Telmo Pievani, biologo evoluzionista, e da Gianvito Martino, neurologo, nella serata inaugurale del Festival BergamoScienza edizione 2025 che ha per tema “In-Formazione: dai quanti alla vita”: occorre sganciare il significato di informazione dalla semplice idea di flusso di dati o notizie.

L’informazione è il linguaggio con cui la realtà si esprime e con cui noi cerchiamo di leggerla, sono i segnali che mettono in relazione mente e corpo, individuo e società, è la descrizione in termini quantici della realtà di materia ed energia. In altre parole l’informazione ha valore se radicata, estrapolata, collegata alla realtà, all’esperienza, a un metodo (sperimentale, scientifico) che può vagliarla o analizzarla. Apprendere dati o notizie, come oggi avviene sempre più spesso, attraverso canali virtuali, digitali, veloci e quasi “istintivi” nel loro esprimersi, ha come conseguenza reazioni e risposte altrettanto veloci, istintive, ma anche virtuali, meno solide, più aleatorie e mutevoli, suscettibili di essere facilmente influenzate da fattori esterni, immediati e contingenti, che sono i presupposti del proliferare delle fake news.

L’informazione quando non è legata all’esperienza e non è sedimentata nel tempo ed elaborata dalla cultura genera reazioni immediate e primordiali. È un fatto fisico, scientifico, che deriva dalla stessa conformazione ed evoluzione del cervello nella storia dell’umanità: la sezione preposta alle funzioni automatiche e istintive di sopravvivenza, nel tempo, è divenuta minoritaria rispetto alla sezione cognitiva culturale, quale meraviglioso frutto di millenni di storia e di esperienze sperimentate e apprese dall’homo sapiens. Con un fatto però: a informazioni veloci, è sempre la sezione istintiva a rispondere istantaneamente, fornendo spesso reazioni irrazionali o irragionevoli, se rapportate all’analisi che farebbe la sezione cognitivo culturale del nostro cervello.

La “cultura”, ossia l’apprendimento secolare di metodi e strumenti cognitivi per analizzare criticamente le informazioni, ha bisogno di più tempo per intervenire e operare la propria funzione di comprensione e razionalizzazione dell’informazione. Tempo che nell’era digitale è continuamente eroso, lasciando spazio a risposte istintive e comportamenti irrazionali.

Capire i meccanismi e le basi scientifiche per cui notizie false e comportamenti irrazionali si diffondono così massicciamente e rapidamente, è utile per trovare gli antidoti a tanta dilagante disinformazione e falsa informazione. È dimostrato che di fronte a una percezione distorta della realtà o al totale scollamento tra notizie e realtà, nemmeno la confutazione attraverso fatti e numeri sembra funzionare: chi si auto convince di avere proprie certezze, trova il modo di sconfessare quelle prove o quei dati che contrastano il proprio pensiero, adducendo teorie (complottistiche o manipolative) che portano a propria volta a screditare la fondatezza delle tesi avverse.

Ne conseguono almeno due considerazioni, sperando che possano funzionare come antidoti: è necessario più che mai favorire a tutti i livelli, giovanili e adulti, l’esperienza concreta, diretta e personale, il continuo contatto con la realtà, l’apprendimento non virtuale della conoscenza e soprattutto di un metodo sperimentale, scientifico, di una capacità di ragionamento che stimoli il dubbio e la ricerca, non la difesa di presunte certezze.

La seconda considerazione, che diventa cruciale per la nostra società e per la nostra stessa evoluzione, è consentire alle decisioni di poter prendere forma in tempi più lunghi rispetto all’istintività immediata, privilegiare situazioni e contesti in cui la riflessione non venga soppiantata dalla reazione, per razionalizzare attraverso la nostra “cultura” millenaria le informazioni ricevute, consentendo alla sezione cognitivo culturale del cervello di operare la propria valutazione e fornire reazioni e comportamenti ragionevoli.

Diversamente la maggior parte di questo nostro meraviglioso organo composto da miliardi di neuroni e capace di elaborare ogni secondo un’infinità di informazioni sensoriali complesse rischia di non essere affatto utilizzata.

Il che, al di là di battute - ahinoi poco distanti dalla realtà - genera il concreto rischio per la nostra specie di atrofizzare, causa inutilizzo, quella ancora preponderante sezione cognitiva del cervello, frutto e causa al tempo stesso dell’evoluzione culturale dell’umanità a cui siamo per ora giunti. Ma da cui possiamo sempre retrocedere.

Diego Moratti

 

Ottobre 2025

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